Di madre…in figlia – Modena 20 gennaio 2018
Plurale femminile: di madre in figlia
In Italia stanno aumentando i numeri delle famiglie di migranti in cui convivono almeno due generazioni, una situazione che mette in luce la questione cruciale del processo di trasmissione e di negoziazione dei valori e degli stili di vita tra prime e seconde generazioni e il loro impatto sui processi di integrazione. Le seconde generazioni, infatti, pur sperimentando negoziazioni culturali interne ed esterne alla famiglia assai complesse, sono indubbiamente le protagoniste del cambiamento verso la costruzione di nuove forme di integrazione e legame con la comunità ospitante.
Le generazioni successive ai primi migranti, su cui finora i contributi di studio erano limitati, negli ultimi anni hanno cominciato ad essere oggetto di alcune ricerche, sia di tipo qualitativo che di tipo quantitativo .
Recentissima la ricerca condotta dall’Università Cattolica e la Fondazione ISMU, in cui è stata indagata l’esperienza della migrazione vissuta da donne di prima e seconda generazione, provenienti da Egitto, Marocco e Pakistan. I risultati (raccolti nel volume Esperienze di donne nella migrazione araba e pakistana, a cura di C. Regalia e C. Giuliani, Franco Angeli, Milano 2012) hanno evidenziato forti elementi di continuità a livello intergenerazionale centrata su valori tradizionali, ma anche il desiderio da parte delle generazioni più giovani di provare a costruire nuove forme di integrazione e legame con la comunità ospitante
Emerge, in particolare, una dialettica complessa tra forza del legame con la cultura di origine e desiderio di differenziazione. Integrare in modo costruttivo universi culturali differenti non è compito semplice e scontato. Ciò vale per le prime generazioni, ma soprattutto per le seconde che, nate e cresciute in Italia, sono doppiamente sfidate nel loro percorso di crescita da aspettative spesso contraddittorie: in quanto figli di immigrati, vivono delle aspettative e dei mandati della famiglia di origine e, contemporaneamente, in quanto seconde generazioni, sono sollecitate dalle aspettative che la società di accoglienza ha su di loro.
La dialettica tra i due universi culturali (quello riferito all’origine e quello del paese di immigrazione) è sperimentata in modi diversi da maschi e femmine delle seconde generazioni, come anche la ricerca europea suggerisce. Per le femmine rimane irrinunciabile e non “negoziabile” il legame con la cultura di origine e con la religione, in maggiore continuità con gli orientamenti delle prime generazioni.
Per i maschi le ricerche sul campo evidenziano una maggiore discontinuità rispetto alle prime generazioni: essi risultano, infatti, più orientati all’assimilazione alla cultura italiana. I ragazzi hanno spazi maggiori di libertà, anche perché il processo di trasmissione segue la linea femminile.
Il biculturalismo, laddove adottato, risulta chiaramente una strategia più femminile che maschile. Anche se le giovani sentono forte il peso della differenza culturale, emerge proprio da loro una più consapevole domanda di integrazione e l’assunzione di un ruolo interlocutorio sia con la famiglia sia con la società italiana. Un dato che conferma tra l’altro un risultato ampiamente evidenziato dalle ricerche, ossia la competenza tipicamente femminile di saper instaurare legami, gettare ponti tra posizioni e mondi apparentemente inconciliabili, colmando lo scarto tra le loro aspettative di integrazione/riuscita e una realtà esterna tutt’altro che facile.
L’Associazione Deade, di cui io faccio parte, pone una attenzione particolare al passaggio intergenerazionale madre-figlie e alla trasmissione di valori che influenzano modelli e pratiche educative.
Crescere figli lontani dalla propria madre non presenta solo delle difficolta’ per la ovvia mancanza di supporto morale e pratico, ma anche un’ opportunita’ di vivere il proprio ruolo di madre piu’ liberamente e in modo piu’ personale e creativo. L’essere lontani dalla propria terra e famiglia d’origine é come un setaccio, che permette di tenere solo cio’ che della cultura d’origine ha davvero valore
Le madri straniere, spesso, si sentono osservate (dalle altre mamme/asili/ospedali/assistenti sociali/enti)….e costantemente sotto esame: ciò causa forte stress rispetto al loro ruolo e posizione nella nuova società.
Da queste premesse nasce il’interesse di DEADE a sostenere il passaggio del testimone culturale da madre a figlia in un contesto culturale diverso da quello di provenienza, attraverso momenti condivisi fra mamme italiane e straniere e parallelamente fra ragazze di varie nazionalità.
Il 20 gennaio prossimo è previsto il primo incontro