II ritiro sociale degli adolescenti:il “fantasma” della solitudine

di Franca Capotosto e Riccardo Zironi

Le parole “ritiro sociale” sono all’ordine del giorno. Se ne parla sui quotidiani, in TV, sui social e sui siti specializzati Il fatto che una persona stia da sola (o con sé stessa, a seconda di come la si vuole vedere) non è di certo una novità dell’ultima ora. Già in tempi lontani, infatti, gli asceti o i monaci (benedettini, cistercensi ecc.) conducevano intere esistenze in solitudine al fine di avvicinarsi al misterioso mondo dell’Oltre.

Lo “stare da soli”, quindi, non è né una novità né qualcosa di positivo o negativo in senso assoluto. Tutto dipende da come la solitudine viene vissuta dalla persona. Ma quindi cos’è il ritiro sociale? Facciamo un po’ di chiarezza.

  1. Partiamo da una definizione: il ritiro sociale patologico ha come tratto distintivo l’autoreclusione in casa. Parliamo di persone in autoreclusione nella propria abitazione per sei mesi o più, caratterizzate da una significativa compromissione funzionale e distress associati all’isolamento sociale.
  2. Il ritiro sociale non è un disturbo mentale: infatti, non è presente nel DSM-5-TR (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Ciononostante, il fatto che non sia catalogabile come “disturbo” non significa che la persona con ritiro sociale non soffra. Anzi, le persone in questa condizione soffrono tantissimo.
  3. Il ritiro sociale è “solo” un comportamento: ma cosa c’è dietro? Si parla a tal proposito di ritiro sociale primario e ritiro sociale secondario: il ritiro sociale primario coincide con l’hikikomori* “puro”, mentre il ritiro sociale secondario – come dice la parola stessa – è secondario a un altro disturbo o condizione critica.
  4. Come e quando si manifesta il ritiro sociale? Generalmente, le prime avvisaglie si manifestano a scuola o, più in generale, nei contesti in cui l’adolescente si trova a contatto con il gruppo dei pari (in palestra, per esempio). Di solito emerge in quelle situazioni in cui l’adolescente teme lo sguardo degli altri, il loro giudizio.
  5. Uno sguardo alla famiglia: generalmente non si fa caso a un ragazzo che non ha tanta voglia di andare a scuola, un po’ timido, riservato, silenzioso. Un ragazzo che “non disturba”, insomma. Poi, però, può arrivare la resa dei conti e così l’autoreclusione dell’adolescente arriva a riverberarsi su tutto il sistema familiare. Cosa può fare in prima istanza un genitore? Quando l’adolescente inizia a “sparire” agli occhi dei propri famigliari – quando cioè diventa un’assente presenza – è importante stare all’erta, “esserci”, fare domande e stare in ascolto senza giudicare né tantomeno minimizzare il suo malessere. È molto importante cogliere precocemente i segnali del ritiro tra le mura domestiche, e, in parallelo, confrontarsi anche con gli insegnanti del ragazzo. L’alleanza scuola-famiglia è certamente una risorsa in più.
  6. Quali sono i “sintomi” del ritiro sociale? Nelle Linee di indirizzo sul ritiro sociale della Regione Emilia-Romagna si sottolinea che inizialmente compaiono degli “strani” mal di pancia o mal di testa (che in genere sono somatizzazioni). Poi, questi ragazzi potrebbero cominciare a saltare dei giorni di scuola, a invertire il ciclo sonno-veglia (arrivando addirittura a dormire di giorno e star svegli di notte) e infine – nei casi più estremi – potrebbero autorecludersi in casa. Va da sé che la scuola è un osservatorio privilegiato per cogliere tutti questi campanelli d’allarme.
  7. Si può “curare” il ritiro sociale? Sì, facendo anche un lavoro “di rete”, e cioè coinvolgendo diversi attori: la scuola, le famiglie e, chiaramente, i servizi sanitari. Sono infatti stati attivati programmi specifici, anche nelle scuole, sia di prevenzione che di intervento: l’ASL di Modena ha proprio dedicato una pagina specifica al ritiro sociale: la trovi qui
    Precisiamo che questo articolo ha un carattere orientativo: è stato scritto semplicemente per sensibilizzare le persone di tutte le età che approdano su questo sito web in merito a un fenomeno attualmente in crescita, ma dai contorni ancora nebulosi. A scanso di equivoci: no, lo smartphone – dicono i ricercatori – non causa il ritiro sociale. Anzi, lo smartphone è l’unica finestra che questi ragazzi riescono a tenere aperta sul mondo.

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*Il termine giapponese hikikomori significa letteralmente “stare in disparte”; è usato per indicare quelle persone che si ritirano dalla vita sociale per lunghi periodi (da pochi mesi fino a diversi anni), chiudendosi in casa, senza avere alcun contatto diretto con il mondo esterno, a volte nemmeno con i propri genitori.

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