Come gestire in modo efficace il tempo

Appunti per partecipanti al Master nelle funzioni di Coordinamento-Università di Modena

Il tempo come risorsa manageriale

In un’epoca storica in cui tutto si muove in modo vertiginoso, in cui la nostra attenzione è coinvolta su più fronti contemporaneamente ( parlo al telefono e controllo la posta), in cui la nostra presenza e rintracciabilità, con i cellulari, è continua nelle 24 ore, le scadenze si susseguono vertiginosamente , gli impegni si accumulano, la capacità di gestire il tempo è la chiave di volta della riuscita e del benessere in tutti i settori.

Il manager ha nel suo mandato l’ottimizzazione delle risorse; sull’ottimizzazione delle risorse finanziarie e strutturali l’attenzione del manager è alta; stranamente la stessa cura ed attenzione non viene rivolta ad ottimizzare la risorsa oggi percepita da tutti, anche fuori dal contesto lavorativo, come la più scarsa: il tempo, che è la risorsa base di ogni individuo ed organizzazione e rappresenta il fattore limite manageriale in quanto, in qualsiasi processo i limiti di produzione sono fissati dalla risorsa meno abbondante, nel processo di realizzazione manageriale tale risorsa è il tempo.

Il tempo ha una caratteristica ben definita e uguale per tutti: tutti abbiamo a disposizione 24 ore al giorno , per tutti i minuti sono di 60 secondi e non di più; nessuno può comprarlo o risparmiarlo per utilizzarlo al bisogno; la differenza, che fa la differenza, è come utilizziamo le 24 ore; è una risorsa irripetibile e come tale non ritorna e non si ricrea.

La caratteristica comune a tutti i manager di successo è l’attenta, rigorosa cura del tempo proprio e altrui.

Artzt cita una ricerca del 1984 su Come riconoscere e sviluppare manager eccezionali in cui si affermava che i quattro fattori della performance, che hanno la massima correlazione con un rendimento manageriale efficace sono: lo spirito di iniziativa, l’efficienza nel prendere decisioni, il potenziale di ledearship e la disponibilità ad assumersi i rischi conseguenti. Analizzando l’efficienza nel prendere decisioni il rapporto metteva in rilievo la capacità di stabilire delle priorità: tale capacità ha strettamente a che fare con la gestione del tempo nelle sue due dimensioni di cronos, tempo cronologico, e di kairos, tempo opportuno , momento giusto .

Se un manager non gestisce il suo tempo, vuol dire che egli è gestito dall’esterno e quindi non è un responsabile,ma un esecutore; inoltre se egli non gestisce il tempo, tutto il resto viene gestito per caso.

Cosa significa gestire il tempo?

Gestire il tempo significa fare in modo che il tempo lavori per noi e non contro di noi; metaforicamente, possiamo dire che dentro la scatola tempo, oggettivamente di 24 ore, possiamo agire solo su che cosa ci mettiamo dentro ed agire facendo sì di metterci le cose giuste, eliminando il superfluo, nel modo giusto perché ce ne stiano di più; sempre metaforicamente, potremmo, quando la scatola sarà colma, chiedere di inserire ciò che resta fuori in un’altra scatola, ma sarà necessario averne la disponibilità .

Fuori di metafora, è possibile agire riducendo le perdite di tempo e massimizzando i tempi, imparando a porre delle priorità ed a pianificare gli impegni, bilanciando, per il recupero psico-fisico, il tempo per il lavoro ed il tempo per la vita privata , comprensiva di riposo e svaghi.

Di seguito approfondiremo gli aspetti connessi alla gestione del tempo lavoro.

Il tempo lavoro

Le ore dedicate al lavoro hanno una base oggettiva: l’orario contrattuale, indicativamente di 38 ore per la dirigenza più l’orario aggiuntivo per il raggiungimento dei risultati; soggettivamente il tempo lavoro può andare ben oltre in quanto in esso vanno ricompresi il tempo personale dedicato allo studio ed agli approfondimenti e le relazioni sociali “da lavoro”.

Il ruolo manageriale comporta la gestione del proprio tempo individuale e del tempo dei propri collaboratori per il raggiungimento dei risultati da conseguire; in tale ambito la definizione e l’applicazione di un metodo di programmazione dei tempi e di individuazione delle priorità costituisce un valore da diffondere nella propria struttura organizzativa, assolvendo altresì alla funzione di esternare e condividere una metodologia di lavoro, che favorisce la visibilità dei processi e l’attribuzione di un codice di importanza ed urgenza alle attività, condiviso da tutti e che evita malumori, malintesi o interpretazioni di scarsa disponibilità

1° passo: massimizzare-individuare e ridurre le cause di perdita di tempo

Nell’organizzazione lavorativa le cause di perdita di tempo sono, in genere, riconducibili ai seguenti motivi.

Tendenza a procrastinare: è un istinto umano, che spesso ci porta a rinviare le decisioni più impegnative, i compiti più sgraditi, più difficoltosi o meno piacevoli; chi non ricorda i tempi della scuola dove gli insegnanti cercavano di contrastare ciò insegnando quanto fosse già allora importante, per avere un buon metodo di studio, affrontare prima le cose importanti , poi quelle meno significative ed il divertimento (forse anche ,esageratamente, si diceva “prima il dovere, poi il piacere”)?

Tendenza a svolgere troppi lavori contemporaneamente: ciò è spesso dovuto alla scarsa consapevolezza degli obiettivi a cui sono finalizzati i compiti, delle loro priorità e scadenze, o alla incapacità di distinguere tra compiti urgenti e importanti, o alle frequenti interruzioni; un indicatore visivo alquanto significativo è dato dalla scrivania piena e disordinata.

Tendenza a lasciare i lavori incompiuti : è una tendenza strettamente connessa e, spesso, conseguente alla precedente; se faccio troppi lavori insieme, facilmente passerò dall’uno all’altro e, nel migliore dei casi, ogni volta dovrò rifare mente locale al punto in cui sono rimasto. In altre ipotesi la non conclusione può essere causata dall’aver iniziato un lavoro senza una precedente raccolta adeguata di informazioni.

Non si parlerà di lavoro incompiuto nel caso in cui un’attività sia stata scomposta in compiti e sottocompiti e venga eseguito una singola parte; in quel caso si avrà l’ipotesi opposta di utilizzo ottimale e di scomposizione del complesso in atti semplici per procedere step by step in applicazione di una tecnica, quella “dell’elefante” (è difficile mangiare un elefante in una sola volta, ma è possibile un boccone al giorno).

I ruba tempo

Spesso le perdite di tempo sono dovute non all’individuo, ma sono imputabili all’organizzazione.

  • Eccessiva burocratizzazione nella connotazione negativa del termine, intesa come passaggi inutili e troppo lavoro cartaceo.
  • Imprecisa distribuzione delle responsabilità e carenza di delega: nel primo caso, non è chiaro chi fa che cosa , per cui il rischio è che nessuno faccia niente o che la facciano entrambi; nel secondo caso , pur in presenza di chiarezza di ruolo e mandato, chi detiene la competenza, pur in presenza di collaboratori motivati e competenti, non la delega con il rischio di sovraccarico.
  • Carenza di comunicazione: la comunicazione è il collante dei comportamenti organizzativi ed il mezzo di trasmissione di valori, obiettivi, compiti, informazioni.
  • Riunioni eccessive: le riunioni concentrano il tempo di molti in un unico momento e proprio in considerazione del dispendio energetico di una risorsa così scarsa come il tempo vanno utilizzate proprio per il ruolo determinante e coinvolgente che hanno; troppe riunioni non sono utili.

Altre volte le perdite di tempo sono imputabili a fattori soggettivi o all’organizzazione individuale del lavoro.

  • Troppe letture: a volte il procrastinare assume l’aspetto di eccesso di letture ritenute utili per decidere o per avviare un compito, con il rischio di un eccesso di rumore, che copre e sommerge le informazioni utili.
  • Troppo lavoro di routine: non può essere eliminato, ma se in dose eccessive, soprattutto per un manager, sottrae tempo per compiti più importanti; in alcuni casi può diventare il paravento dietro cui nascondere l’incapacità di ricoprire ruoli più impegnativi.
  • Interruzioni: di visitatori casuali, di telefonate senza filtro, a volte anche su apparecchi diversi con configurazioni fantozziane.
  • Incapacità di dire “no”: a chi interrompe senza motivo, al capo che chiede subito e “ per ieri” ; saper dire “no” non significa negarsi o non essere disponibili, ma definire i propri confini e garantirsi un tempo per portare a termine i compiti; certo i nostri momenti non possono coprire tutto il nostro tempo, ma sapere di avere un tempo a nostra disposizione, ci permetterà di ascoltare e dare la giusta attenzione nel tempo restante.
  • Disorganizzazione personale e mancanza di autodisciplina: spesso connessa a scrivania sovraccarica e in disordine per cui cercare un oggetto prende molto tempo, a carte sparse ovunque eccetto che nei fascicoli giusti, a matite sempre spuntate in attesa di qualcuno che le temperi, ad elenchi telefonici e mailing list mai stilate o riordinate, ad affezione a carte ed oggetti ormai inutili, etc.
  • Indecisione, lentezza e pigrizia: è vero che ognuno ha i suoi tempi, ma per qualcuno questi tempi sono eccessivamente dilatati.
  • Coinvolgimento in troppe cose: non sempre il coinvolgimento significa essere motivati; a volte è indice di presenzialismo, di bisogno di riconoscimenti e di scarsa fiducia negli altri.

2° passo : Quantificare e organizzare il tempo

A tutti è nota la sensazione di non avere tempo o di non averne abbastanza , o di essere spesso in ritardo; ad una riflessione appare come ciò sia imputabile, più di quanto noi stessi pensiamo, alla mancata previsione di quanto tempo occorra per svolgere un compito. La valutazione di quanto tempo mi occorra per un compito è una abilità appresa nel tempo, che risente di abitudini e consuetudini. La quantificazione del tempo si compone di una quota tempo strettamente necessaria per lo svolgimento materiale delle azioni, facilmente determinabile e su cui la maggioranza delle persone concorda e non difficile da quantificare e da una parte più “vaga” e soggettiva, determinata dall’esperienza che abbiamo del compito, dal significato e dall’interesse che il compito ha per ognuno di noi e dalle interferenze interne ed esterne. Per esempio, se ho un incontro di lavoro dall’altra parte della città e fino a qualche mese prima ho abitato in un piccolo paese, nel determinare quanto tempo dedicare all’incontro, facilmente ometterò i tempi di percorrenza.

Fra le interferenze interne è da tenere in considerazione il calo di rendimento fisiologico nella giornata con conseguenze sulla capacità di concentrazione e attenzione; la curva dell’efficienza è massima a metà mattina e poi decresce .

Quindi, per programmare e dare le priorità occorre innanzitutto saper quantificare il tempo complessivo necessario per svolgere una attività e distribuire le attività nell’arco della giornata, prevedendo alcuni momenti di intervallo, utili per ricaricare le energie o per assorbire interferenze.

A fine giornata molti dirigenti affermano di sentirsi stanchi senza aver concluso niente; questo è un pensiero disfunzionale e non realistico, in quanto considerano lavoro concluso solo lo svolgimento di azioni materiali e tangibili senza considerare, come ormai è dimostrato, che una quota parte del lavoro dirigenziale è rappresentato proprio dalle relazioni sociali.

Prevedere più attività di quelle che il tempo a nostra disposizione prevede porta ad inutili frustrazioni, con aumento d’ansia , accanimento sul compito e salto da un compito all’altro, senza concluderne alcuno con inevitabile stress lavorativo.

L’esperienza suggerisce di programmare circa un 60% del nostro tempo lasciando il 40% per gli imprevisti, i ruba tempo, le interferenze , le attività spontanee e le relazioni sociali ( convenevoli, saluti, etc.utili per mantenere un buon clima aziendale).

E’ d’uopo citare il principio di Pareto: se si impiega in maniera ottimale un 20% di tempo si conseguiranno l’80% dei risultati .

La quantità di tempo dedicata ad una attività non è necessariamente proporzionale al valore dell’attività; anzi da una ricerca (ABC) emerge che l’impiego effettivo del tempo non corrisponde al valore dell’attività svolta (fig.1).

 

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Se oltre a programmare le attività, si programma anche il tempo per svolgerle, si guadagnerà tempo da dedicare a realizzare più progetti; quindi il tempo dedicato alla programmazione è tempo risparmiato all’esecuzione del compito e non faremo come quel boscaiolo che si affannava a tagliare il tronco con una sega non affilata e rispondeva bruscamente al saggio che passava di lì e gli suggeriva di fermarsi un attimo, di affilare la lama e poi diriprendere il lavoro: “ Non ho tempo, devo segare”.

 3° passo: stabilire le priorità

In termini aziendali stabilire le priorità significa lavorare sulle cose giuste, nell’ordine giusto con la giusta quantità di energia e di attenzione (la regola delle tre G) .

La capacità di prioritizzare è una capacità che si acquisisce ella vita privata partendo dall’acquisizione di buone abitudini e che viene trasferita nell’attività professionale non solo rispetto al tempo, ma anche rispetto alla gestione delle altre variabili aziendali.

Avere la capacità di definire cosa è prioritario significa avere la capacità di distinguere immediatamente quei pochi elementi, che avranno le maggiori conseguenze e dedicare ad essi le maggiori energie e capire, altresì, quali sono le priorità fondamentali di lungo periodo da non sacrificare o rinviare di fronte a risultati a breve termine o alla soddisfazione di produrre risultati immediati ma su compiti meno importanti.

Come procedere?

Occorre seguire un criterio: partire dalle cose più importanti ed urgenti applicando il principio di Eisenhower (vedi fig.2). I compiti importanti ed urgenti hanno la priorità assoluta e vanno eseguiti subito; i compiti urgenti, ma poco importanti, vanno programmati; i compiti urgenti, ma poco importanti, se il nostro tempo è già tutto programmato, vanno delegati.

 

Cosa è urgente e cosa è importante?

Premesso che in una buona organizzazione la maggioranza delle attività sono considerate urgenti o importanti in base a criteri esplicitati e condivisi da tutti gli operatori coinvolti nel processo o, in casi particolari, definiti tali da chi ha la responsabilità della gestione della struttura, possiamo fare un excursus in base all’esperienza.

E’ urgente tutto ciò che è soggetto a scadenze cogenti in termini normativi (stipendi, versamenti, bandi, etc) o imperativi (ordini e tempi dati dai superiori).

Sono importanti le attività rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi propri e della propria unità, le attività “snodali” rispetto all’intero processo, ciò che coinvolge più persone, ciò che semplifica il lavoro di molti.

Il dizionario Garzanti definisce urgente”ciò che deve essere fatto al più presto,incalzante,che non può essere rinviato ” e definisce importante “ciò che ha grande interesse o valore”. Allora può essere utile, per definire cosa è urgente e/o importante, chiedersi “ Cosa succederebbe se non lo facessi? “ e decidere in base alle conseguenze possibili.

E nel cestino?

B.C. Forbes dice: “ Dopo il cane, il cestino dei rifiuti è il miglior amico dell’uomo”, ovvio, solo per le cose non urgenti , non importanti e, aggiungerei, non ad evidenza pubblica; ma forse, nella pratica sarà meglio archiviare.

La matrice di Eisenhower suddivide le attività in base all’importanza e all’urgenza.

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Stabilire le priorità permette di cominciare a fare subito ciò che è essenziale o necessario, di affrontare i problemi in ordine di urgenza concentrandosi su un compito alla volta da portare a termine nel tempo stabilito, senza ansia e nel migliore dei modi, quali che siano le circostanze in cui lavoriamo e di avere il senso del lavoro svolto (alcuni ritengono che sia sufficiente appuntare su di un foglio l’elenco delle cose da fare, anche le non concrete, secondo le priorità e che il semplice gesto del cancellare o spuntare abbia un effetto tranquillizzante che abbassa l’ansia).

Quarto passo: concretizzare

In teoria tutti sono convinti della necessità e opportunità di programmare; nella pratica ad eccezione dei momenti istituzionali di programmazione , ci si lascia travolgere dalla frenesia quotidiana , si tamponano le situazioni , si finisce la giornata con l’idea di non aver concluso niente di quello che si era pensato (pensato, non programmato) di fare .

Allora è il caso di iniziare a piccoli passi in quella che diventerà anch’essa routine: decidere , almeno in parte, cosa vogliamo fare nel lungo, medio e breve periodo ; partendo anche da semplici appunti su un foglio bianco , da tenere sempre ben visibile.

Attuare una buona gestione del tempo darà la sensazione di riuscire a fare tutto e di non essere travolti da persone ed eventi su un giro di giostra da cui, una volta saliti, è difficile scendere.

La seguente chek list  può aiutare concretamente.

 Check list per la gestione del tempo

► Il tempo speso nella programmazione del tempo è tempo immediatamente rispendibile.

► Applicare il principio di Pareto: col 20% si produce o si risparmia l’80%.

► Stabilire il piano della giornata ( per iniziare bastano parole chiave) in maniera realistica, dare un ordine di priorità; procedere su una attività alla volta concludendola.

► Stabilire un momento della giornata in cui “non ci siete per nessuno”; utilizzare il filtro di un collaboratore; essere presenti in un orario differenziato.

► Iniziare dalle cose più importanti al mattino quando il rendimento è migliore e prevedere a fine giornata le attività routinarie o più semplici ( letture, firma della posta, riordino e archiviazione, etc)

► Svolgere compiti simili o concatenati consecutivamente.

► Non rinviare le cose che piacciono poco o che pensiamo di non essere pronti a svolgere.

►   Delegare le cose poco importanti ed esigere lavori finiti.

►   Pensare prima di agire.

►   Fare le cose bene quanto basta.

►   Raggruppare le telefonate .

►   Prendere appunti su un unico posto.

►   Fermarsi per un intervallo, prima di essere costretti dallo stress a fermarsi del tutto.