E i papà dove sono?
consigli di lettura di Monica Tappa *
In questa bolla che ci contiene da più di un anno, piano piano sono esplose le contraddizioni e le crepe che hanno accompagnato la gestione familiare negli ultimi decenni. Come pilastri di sabbia travestiti da cemento armato si sono sgretolati mostrandone le fragilità.
La figura paterna, ancora oggi, viene identificata, a livello sociale, come quella produttiva, che si occupa del mantenimento della famiglia (e quindi, sottinteso, ha poco tempo da dedicare alla gestione quotidiana della figliolanza e della casa). Poche le eccezioni. Uno “stereotipo” che purtroppo trova anche nei numeri statistici troppe conferme. Basti pensare ai dati Istat relativi a dicembre 2020, resi noti recentemente: su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne (per maggiori informazioni, cliccare qui). I papà sembrano insomma essere i (soliti) grandi assenti giustificati.
Chi è stato giovane nel secolo scorso, probabilmente ricorderà lo slogan pubblicitario di un famoso deodorante / aftershave che recitava “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Una affermazione che apre ad altri numeri, dolorosi: quelli dei femminicidi. Il fatto è che, ahimè la figura maschile e in particolare paterna, ancora oggi troppo spesso si mantiene coerente a questa impronta. I papà arrivano, devono trovare pronto, leggono il giornale, vanno fuori. E le mamme? Ma ovvio, stirano, lavano, preparano pranzi e cene etc. Non a caso anche una recentissima pubblicità di una catena di supermercati per la Festa della Mamma ha rilanciato alla grande un “felice mamma, felice tutta la famiglia” (con sconti del 50% su detersivi e carta igienica e 20% su profumeria e makeup). E facendo un po’ di attenzione ai contenuti di molti libri scolastici per la primaria e a quelli di molte poesie da recitare a memoria alle feste comandate si potrà avere conferma che gli “stereotipi” viaggiano indisturbati.
A complicare la questione c’è, come ben indagato nella sua tesi di laurea Jessica Sansalone, che “i bambini iniziano a conoscere il modo attraverso le immagini. Le immagini predominanti nella vita di un bambino sono quelle della pubblicità, dalle quali, ricordiamolo, non può scappare. La pubblicità assume quindi il ruolo di educatore, al pari della scuola e dei genitori. «La pubblicità si manifesta, in particolare, come la fonte di un massiccio lavoro di educazione al consumo, innanzitutto, ma anche educazione tout court, fonte di modellamento della mentalità, di vera e propria colonizzazione culturale» (Zanacchi, 2010, pag. 139). La pubblicità fornisce modelli entro cui stare, come se non ci fossero sfumature possibili. E come scrisse Popper «La televisione cambia radicalmente l’ambiente e dall’ambiente così brutalmente modificato i bambini traggono i modelli da imitare».
Esistono, ovviamente, alcune eccezioni, una onda lenta (un po’ troppo lenta) e lunga, che modifica quasi impercettibilmente il paesaggio e la quotidianità. Al netto di frange estremiste che prediligono il “me contro te” del maschile e del femminile rispetto al dialogo, si vedono molti tentativi di ridisegnare questa figura e di farla rientrare con diritti e doveri nel sistema famiglia, di riscrivere confini e di sradicare alcune solide radici che arrivano dal passato.
Interessante, buffo, umoristico “Asilo Club. Storia semiseria di un padre alle prese con il mistero dell’infanzia” scritto da Mirko Volpi (Salani) che ci offre un punto di vista inedito sulla paternità, in questo romanzo autobiografico che è un viaggio semiserio tra le paure, le aspettative e le domande di tutti i genitori alle prese con il grande mistero della crescita dei figli. Nelle prime righe rompe gli indugi e svela l’inconfessabile: “Avrei voluto essere un padre all’antica … disattendere antimodernamente al ruolo, delegare a lei le incombenze della cura, il disbrigo dei fatti minuti, l’eliminazione dei dimenticabilissimi intoppi quotidiani, periodici, stagionali, sorvolare appena possibile sui processi decisionali secondari, sull’eccesso delle condivisioni, soprattutto emotive… Avrei voluto essere un padre vecchio stile … Avrei voluto questo, e anche molto altro di più retrivo, ma domani è il primo giorno di asilo di Ludovico e lo accompagno io”.
Come di consueto anche molti titoli di narrativa rivolti ai giovani lettori e alle giovani lettrici aiutano proprio noi adulti a fotografare i nostri atteggiamenti stereotipati e ci forniscono occhiali con i quali guardare la realtà da lontano, da un’altra prospettiva. E alla nuova generazione, oltre a belle storie, strumenti per riflettere sui modelli di cui vogliono vestire il loro futuro.
“Girlz Vs BoYz” di Eliselle (Einaudi Ragazzi), ad esempio, riprende il modello del classico papà rigidamente ancorato ai ruoli e ai privilegi che a volte l’esser maschio comporta. E una possibile chiave all’adulto di domani, scartavetrando la vernice luccicante dell’uomo che non deve chiedere mai. Chiedere aiuto non è sintomo di debolezza. Anzi.
In “Contromano” di Coline Pierré (Giralangolo) tradotto da Luisella Arzani, potentissimo il dialogo – incontro tra padre (Karl) e figlio (Victor), in stazione, che mette a nudo fragilità, impegno, fatica, limiti e aperture del rapporto genitore – figlio. Ma anche il sentimento che associa il prendersi cura all’essere padre del protagonista Victor.
*giornalista professionista, vive a Modena. Per lavoro legge, legge tantissimo e scrive. Parecchio. Seleziona le novità editoriali più interessanti da proporre a docenti, genitori, educatori. Cura Zero14, inserto della Gazzetta di Modena. Collabora anche con altre testate online e cartacee. Si occupa soprattutto di infanzia e adolescenza a tutto tondo.