Conosciamo i nostri ragazzi? Forse no. Stranieri in casa?

 

Parliamo con i nostri ragazzi Solo così sapremo chi sono.Come fare?

 0-5780565-i-nostri-ragazzi-carousel-cinema

Il dialogo tra genitori e figli non è facile e questa non è una novità dei nostri tempi. È sempre stato così, anche quando eravamo noi i figli. Quante volte abbiamo detto ai nostri genitori: “Tu non mi capisci, non funziona più così…”

In questi giorni fa discutere il film di Ivano De Matteo “I nostri ragazzi” presentato alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia. Il film racconta di una famiglia come tante, nel senso più comunemente frequente nella nostra realtà, senza disagi evidenti di alcun tipo: una famiglia “normale”. I ragazzi sono stati cresciuti con amore, comprensione, buon cibo, opportunità, senza punizioni corporali (nel sottolineare ciò, ovviamente, non c’è alcun intento di suggerire la necessità di ripristinare schiaffi e altro), in un clima amichevole. I genitori sono orgogliosi e soddisfatti dei propri figli finché non scoprono che i due giovani protagonisti di un brutto episodio di cronaca per aver preso a calci una barbona sono proprio i loro figli. La loro prima reazione è di incredulità: “È impossibile, sono sempre stati bravi”. Non ci sono dubbi però: la bravata è stata ripresa da una telecamera. Quelli sono proprio “I nostri ragazzi” e tutto precipita. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda arriva proprio a questo punto della già preoccupante storia che De Matteo ci racconta ed è l’incoscienza: i ragazzi sembrano non rendersi conto della gravità dell’accaduto, rispondono con arroganza, sono dispiaciuti non per l’agito ma per essere stati scoperti. I ragazzi non mostrano alcun rimorso, continuano a comportarsi come se niente fosse successo mentre i genitori restano lì, bloccati tra difesa ad oltranza dei propri figli e incapacità di dialogo utile a contenerli e guidarli.

Parliamo con i nostri ragazzi: solo così sapremo chi sono.

In una recente intervista lo psicoterapeuta Gustavo Petropoli Charmet dice “Un genitore dei nostri giorni non può assolutamente ricorrere all’esperienza della propria adolescenza per affrontare il problema. È essenziale capirlo. Tutto è troppo, e rapidamente, cambiato per poter lavorare con quegli strumenti. La giusta prospettiva è, per i genitori, quella di capire, senza credere di sapere già tutto. I ragazzi vogliono un padre ed una madre competenti ed informati con cui discutere di stupefacenti o di sesso, senza per questo temere di metterli in agitazione o di far scattare punizioni nei loro confronti”.

I genitori, sempre più spesso, sono i primi a pensare che sia idiota, non necessario pagare per le proprie azioni e perciò sono pronti a difendere, non a capire, qualunque comportamento dei propri figli, senza riserve, senza alcun limite neanche quello dell’inviolabilità di un altro essere umano, neanche quello della sana evoluzione personale dei figli che tanto amano. Bisognerebbe, invece, resistere a certe false e deleterie complicità , abituarli sin da piccoli a non aver costantemente al fianco un genitore  che, in caso di problemi, si erga come ” difensore” o ” assolutore”  indefesso. E’ , sempre, ancora oggi compito dei genitori educare i figli al rispetto del prossimo ( la barbona non è una lattina di coca cola, ma una persona che in seguito al calcio ha sentimenti ed emozioni e ne resta ferita nel corpo e nell’anima); è dovere dei genitori far apprendere ai propri figli che esiste un bene, ma anche un male di cui rispondere; passare il valore della solidarietà e reciprocità; dare l’esempio vivendo con lealtà ed onestà gli affetti familiari e le relazioni esterne.

Come fare?

Ripartiamo dall’ascolto diretto dei loro problemi ( spulciare il loro profilo su internet ci dà una conoscenza virtuale, non reale dei loro vissuti),  cercando di essere più competenti su un mondo così diverso da quello in cui siamo cresciuti. Per far questo occorre dedicare ai figli un tempo, anche quantitativamente importante, e costruire una forte alleanza con l’altro genitore e con le componenti sociali.

Il film di De Matteo non è solo la storia di figli troppo viziati ma anche quella di  genitori troppo fragili o troppo impegnati altrove; di genitori anch’essi smarriti  che hanno perso il senso delle cose, il senso della responsabilità individuale ed il senso di colpa. Sono loro stessi il frutto di una educazione basata sulla valorizzazione del potenziale individuale, della realizzazione dei propri bisogni e desideri; una educazione in cui era marginale la presa di coscienza anche dei propri limiti ed inadeguatezze.

La relazione genitori/figli è lo specchio della dissonanza/incoerenza in atto socialmente: formalmente le relazioni  sono più dirette e intime , sostanzialmente sono più distanti…e su questo forse è necessario continuare a riflettere, ancora, insieme.