Separazione: stereotipi…e guerra sia (1/3)
di Lucia Polidori
Il conflitto, in genere non viene visto come un momento di crisi della relazione che potrebbe innescare un processo costruttivo. E’ talmente immediata l’associazione tra conflitto e guerra, che si può parlare di un vero e proprio stereotipo a riguardo. E se il conflitto è una guerra, allora l’atteggiamento più frequente è quello di armarsi contro l’altro perché in guerra ci sarà, alla fine, un vincitore ed un perdente e nessuno di noi è disposto a dichiararsi sconfitto. E qui, entra in gioco un secondo stereotipo e cioè che la risoluzione di un conflitto passi attraverso una prova di forza che , alla fine, decreterà un vincitore ed un perdente nella convinzione che gli opposti sono inconciliabili. Non si pensa mai che il conflitto possa essere chiuso da un accordo che non prevede perdenti ma che potrebbe essere concordato dalle parti in modo che risulti condivisibile e sostenibile da entrambe.
Quando il conflitto è fra ex coniugi, lo stereotipo del conflitto come guerra si rafforza ancora di più perché mina alla base un altro stereotipo secondo il quale le relazioni, soprattutto quelle di coppia, debbano essere perfette e che quanto più sono connotate da dipendenza ed esclusività, tanto più sono “armoniose”: una montagna di credenze errate che porta a vivere la separazione come un evento catastrofico e non come un evento possibile, anche se molto doloroso.
Con la fine della relazione, oltre al lutto di una perdita, si vive un attacco a quella visione unitaria, perfetta e irreversibile che la nostra mente configura rispetto al concetto di coppia. Visione che si disintegra di fronte alla reità della separazione e risulta più facile attribuire la colpa all’altro per non essersi conformato ad essa piuttosto che ridiscuterla.
Miti e cambiamento
I miti creano resistenza al cambiamento e intrappolano le parti nel conflitto. La capacità di adattarsi al cambiamento dipende dalla capacità di modificare il proprio sistema di credenze, il proprio schema cognitivo, mettere in discussione la propria visione delle cose. nel caso della separazione significa riattribuire nuovi significati al rapporto per dare una nuova definizione alla relazione dopo la fine del rapporto di coppia.
La struttura delle consapevolezze degli ex coniugi, le convinzioni, la loro mappa cognitiva producono uno stato di inerzia, di resistenza al cambiamento necessario per il dialogo, uno stato di abulia rispetto alla comunicazione. In ogni caso la perdita di fiducia genera nell’interazione risposte disfunzionali.
In generale, nella scelta del comportamento da adottare come risposta ad un determinato contesto di crisi, le vie possibili sono tre:
– non fidarsi. il dilemma scompare , ma entrambi affrontano forti perdite
– cercare di vincere sull’altro. Uno dei due sosterrà forti perdite
– cooperare. Entrambi vinceranno rinunciando ad una parte di guadagno personale.
Ma gli ex coniugi, spesso, non riescono a praticare la strategia della cooperazione per i fattori ricordati prima e la caduta di fiducia porta all’alienazione dell’altro. Il non riconoscimento dell’ex coniuge come persona è legato anche alla perdita di una parte della propria identità, dovuta al fallimento della storia d’amore, ad debito di esistenza investita che si avverte quando la coppia non c’è più.
… La ferita dell’Io
Il bisogno di definire il proprio sé attraverso l’altro è sempre presente nell’individuo, fin dall’infanzia, ed è alla base del percorso evolutivo verso la propria differenziazione. Nel momento della separazione, la definizione di noi stessi che avevamo strutturato attraverso la persona amata, e che da questa ci era confermata, va in frantumi e con essa una parte della nostra identità si destruttura.
Si capisce bene che, in tali condizioni, sarà difficile continuare a riconoscersi l’un l”altro come persone e, ancor meno, come genitori, e sarà arduo cooperare per la condivisione di un accordo sulle regole e i termini della co-genitorialità. ( 1/3 …continua )